Tassa extraprofitti sulle banche: nessuna banca potrebbe pagarla. Misura flop?

UniCredit ed Intesa Sanpaolo hanno scelto l'opzione di non pagare la tassa sugli extraprofitti imposta dal Governo alle banche. Mancato gettito da miliardi di euro nelle casse dello Stato

banche italia

La tassa sugli extraprofitti delle banche è stato uno dei cavalli di battagli del Governo Meloni finora, il simbolo di un esecutivo capace di intervenire sulle ingiustizie del mercato.

Ma la misura rischia di rivelarsi fallimentare nell’obiettivo di raccogliere liquidità.

Contestata da BCE, dalla stampa internazionale e da alcuni membri del governo, la mossa di equità sociale dovrebbe prelevare una parte di guadagni delle banche generati dagli aumenti dei tassi di interessi, e sostenere i cittadini.

Nei giorni scorsi, durante le chiamate sugli utili trimestrali, i più grossi gruppi bancari italiani, Intesa Sanpaolo e Unicredit, hanno scelto di non versare la tassa sugli extraprofitti.

Il tutto rispettando la legge, ricorrendo cioè all’alternativa offerta proprio da quel Governo che il prelievo sugli extraprofitti l’ha creato.

La tassa sugli extraprofitti delle banche

Lo scorso 7 agosto, il vicepresidente del Consiglio Matteo Salvini comunicava l’approvazione in Consiglio dei Ministri della tassa sugli extraprofitti per il 2023, con l’obiettivo di ottenere importanti risorse economiche.

Miliardi di euro finalizzati al sostegno dei mutui sulla prima casa ed al taglio delle tasse, una misura definita equa per andare incontro a milioni di famiglie in difficoltà per il caro vita.

La norma, accusata di essere addirittura anticostituzionale e deleteria per la credibilità del Paese, fu oggetto di emendamento parlamentare (a firma dei partiti di maggioranza).

L’alternativa al versamento: accantonare a riserva

Così, il Governo Meloni ha rivisto la misura offrendo due soluzioni possibili:

  • versare l’importo della tassa sugli extraprofitti, pari allo 0,26% sugli attivi ponderati (RWA), escludendo quindi i titoli di Stato;
  • non pagare la tassa, ma destinare l’importo al rafforzamento delle risorse non distribuibili.

Di fronte ad una scelta così difficile, quale opzione sceglieranno le maggiori banche in Italia?

Quanto vale la tassa sugli extraprofitti

Deutsche Bank ha stimato la suddivisione delle tasse sugli extraprofitti, pari ad un totale di circa 1,67 miliardi di euro, in questo modo.

Banche italianeImpatto stimato in milioni di euro
Intesa Sanpaolo591
Unicredit397
Banco BPM158
BPER128
Monte dei Paschi di Siena124
Mediobanca116
Banca Popolare di Sondrio57
Credem44
Mediolanum29
Banca Generali13
Fineco12

Ben 988 milioni, il 59% del bottino complessivo, dovrebbero versarlo Intesa e Unicredit. Le due banche hanno già fatto sapere che destineranno il denaro a rafforzare il loro patrimonio, mentre gli altri istituti non si sono ancora espressi.

Unicredit ed Intesa snobbano la tassa sugli extraprofitti

In occasione della presentazione dei risultati del secondo trimestre, Intesa Sanpaolo (MIL: ISP) ha evidenziato risultati solidi e positivi del primo semestre dell’anno in corso.

Il Ceo Carlo Messina ha sottolineato come l’utile netto 2023 superiore a 7 miliardi di euro può consentire alla banca di distribuire dividendi pari a 5,8 miliardi ed effettuare accantonamenti di oltre 1,2 miliardi.

Quest’ultimo importo si avvicina alla tassa sugli extraprofitti che avrebbe dovuto pagare Intesa Sanpaolo, circa 1,4 miliardi di euro, decidendo quindi di accettare l’opzione di non pagare l’imposta e procedere al rafforzamento del patrimonio.

Stessa strategia di Unicredit (MIL: UCG) che, in occasione della presentazione dei risultati del secondo semestre nel 2023, aveva registrato profitti pari a 7,25 miliardi e dividendi per 6,5 miliardi.

L’accantonamento di circa 750 milioni di euro si avvicina alla tassa sugli extraprofitti da 992 milioni di euro, motivo per cui il Ceo Andrea Orcel ha comunicato la decisione di non versare l’imposta e scegliere di destinare l’importo al rafforzamento delle risorse non distribuibili.

Jacopo Marini

Trader, opinionista ed esperto di mercati azionari e criptovalute. Uno dei primi investitori in Italia a credere in Bitcoin e diventarne un profondo conoscitore. Collabora con FinanzaDigitale dal 2014.

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