Per dieci anni, tra il 2000 e il 2010, migliaia di italiani hanno sottoscritto finanziamenti nei centri commerciali. Lo facevano senza passare da una banca o da un consulente finanziario. Bastava uno stand, un’offerta speciale e un commesso convincente. La carta di credito revolving veniva attivata sul posto, spesso con poche spiegazioni. Ora, una sentenza della Corte di Cassazione stabilisce che quei contratti sono nulli. E che i consumatori hanno diritto a farsi restituire gli interessi pagati.
Carte di credito più richieste questo mese




La sentenza
La decisione, depositata il 13 maggio, arriva dopo anni di battaglie legali. Il caso al centro della pronuncia riguarda un contratto sottoscritto con Findomestic all’interno di un punto vendita Conforama. Ma non si tratta di un’eccezione. Nei primi anni 2000, queste operazioni erano all’ordine del giorno: molti clienti tornavano a casa con un elettrodomestico, un finanziamento e una carta revolving senza neppure aver parlato con un intermediario autorizzato.
A vendergliela era un addetto alla vendita, che spiegava offerte, promozioni e vantaggi finanziari con la stessa naturalezza con cui illustrava le caratteristiche di una lavatrice.
Una prassi che oggi la Cassazione dichiara illegittima. Secondo la Suprema Corte, i contratti di credito stipulati in quegli anni da personale non abilitato non hanno alcun valore. Sono nulli. E questo significa che i clienti coinvolti possono fare causa per ottenere la restituzione degli interessi versati nel corso del tempo.
Le carte revolving, del resto, non sono mai state strumenti troppo trasparenti. Somigliano a una normale carta di credito, ma il meccanismo di rimborso è molto diverso. Le somme spese non vengono restituite a fine mese, bensì a rate. Le rate sono basse, apparentemente sostenibili, ma accompagnate da interessi elevatissimi. Spesso vicini al tasso soglia oltre il quale scatta il reato di usura. Chi si trova dentro questo ingranaggio rischia di restare incastrato per anni. E chi smette di pagare, spesso, si ritrova invischiato in un contenzioso difficile da risolvere.
Banche compiacenti?
Nel 2010 è arrivata una legge a chiarire definitivamente chi poteva proporre e far firmare un contratto di finanziamento. Il decreto legislativo 141 ha segnato un punto di svolta. Da quel momento in poi, solo gli intermediari iscritti all’albo potevano offrire questo tipo di prodotti.
Ma prima? Secondo l’avvocato Andrea Ruocco, intervistato da Repubblica, in quegli anni le banche hanno risparmiato milioni. Evitavano di pagare commissioni agli intermediari abilitati, affidando la promozione dei prodotti al personale dei negozi.
“Era una pratica sistematica – spiega Ruocco – in violazione sia delle norme italiane sia delle direttive europee. I consumatori si fidavano, non avevano strumenti per capire, e firmavano”. Ora la Corte stabilisce che quei contratti non dovevano essere stipulati. E che chi li ha firmati ha diritto al rimborso.
Secondo i calcoli, un consumatore ha versato in media tra i 7 e gli 8 mila euro di interessi. In alcuni casi molto di più. Per ottenere il rimborso è necessario avviare un’azione giudiziaria e chiedere che un giudice dichiari nullo il contratto. Ma, dopo la sentenza della Cassazione, la strada è decisamente in discesa. “Ora tutti i tribunali italiani dovranno adeguarsi. La Suprema Corte ha detto chiaramente cosa prevede la legge” sottolinea Ruocco.
Il panorama giurisprudenziale, finora, era piuttosto frammentato. Alcune Corti d’Appello avevano dato ragione alle banche. Altre ai consumatori. A Milano, ad esempio, i giudici avevano dichiarato validi i contratti. A Lecce, Ancona e Firenze invece era arrivata una decisione opposta. Proprio il Tribunale fiorentino, approfittando della riforma del Codice civile, ha rimesso la questione alla Cassazione. Chiedeva un chiarimento. Lo ha ottenuto. E ora quel chiarimento si riflette su migliaia di cause aperte in tutta Italia.
Il parere di Findomestic
Da parte sua, Findomestic ha dichiarato di non avere più promosso né sottoscritto nuovi contratti nella modalità contestata a partire dal 2010. La società fa sapere che sta valutando gli effetti della sentenza della Cassazione, riservandosi ogni considerazione sulle eventuali implicazioni.
Il capitolo dei rimborsi, però, è ufficialmente aperto. E per migliaia di italiani potrebbe essere arrivata una possibilità concreta di recuperare quanto versato.