Per oltre 80 anni il dollaro USA è stata la moneta più presente nelle riserve delle banche e la valuta più utilizzata per gli scambi commerciali e finanziari. Ancora oggi, secondo le stime del Fondo Monetario Internazionale del 2023, il peso del dollaro come valuta monetaria internazionale continua ad essere del 59,6%, rispetto al 20,5% dell’euro e del 7% della Renminbi (Yuan) cinese.
Tuttavia, negli ultimi 10 anni si è evidenziato una netta riduzione del suo utilizzo di oltre il 20%, cresciuta dal 2022 con la guerra nell’est Europa, portando a una percentuale nelle riserve delle banche tra il 60% e il 70%, ai minimi dagli anni 70′. Un dato che per alcuni indica l’inizio di quel processo che prende il nome di dedollarizzazione.
Un termine che vede la contrapposizione alla moneta verde di quelle dei Paesi Emergenti, come Russia, Cina, Brasile, Venezuela, India e Sudafrica. Un processo che può portare conseguenze all’equilibrio degli scambi internazionali e sulle borse valori, dato che per alcuni analisti si creerebbe un vero e proprio caos monetario – mentre per altri si andrebbero a rafforzare le relazioni finanziarie ed economiche, secondo i principi di libero scambio.
In questo articolo troverai maggiori informazioni e chiarimenti su cos’è il processo di dedollarizzazione, se si sta realmente verificando e quali potrebbero essere gli effetti sul sistema economico italiano, europeo e internazionale.
Dedollarizzazione: significato

In ambito economico, il termine dedollarizzazione è utilizzato per indicare quel movimento di alcuni Paesi, avente l’obbiettivo di ridurre l’impiego primario del dollaro come valuta internazionale, negli scambi finanziari, economici e in ambito commerciale, sostituendolo con altre valute.
Un processo che potrebbe sembrare nuovo, ma che in realtà è già iniziato da diversi anni. Un esempio sono gli accordi tra Cina e Russia, nel 2014, sull’utilizzo del Renminbi (Yuan), la moneta cinese, per l’acquisto del gas Russo. Inoltre, in passato sono stati diversi i tentativi dei Paesi Emergenti di staccarsi dalla moneta verde, anche se con pochi effetti.
La parola dedollarizzazione è utilizzata con una doppia valenza economica e geopolitica. Infatti, il predominio del dollaro in ambito internazionale non è solo legato a un aspetto finanziario, ma riflette anche una condizione politica in cui da un lato si pongono quegli Stati che hanno regimi autoritari o semi-democratici, come Russia e Cina, e le economie in espansione, come India, Brasile, Venezuela e Sud Africa.
Dall’altro vi è il blocco dei Paesi liberal-democratici, in cui l’utilizzo del dollaro rimane l’elemento predominate. In questo contesto spodestare il primato del dollaro, vuol dire andare a contrastare anche il primato internazionale economico e finanziario di una nazione come gli Stati Uniti d’America.
Come nasce il primato del dollaro?

Oggi lo status di valuta mondiale del dollaro continua ad esistere grazie ad alcune caratteristiche:
- è la moneta con maggiore stabilità al mondo;
- l’economia statunitense continua ad avere il primato in ambito internazionale;
- gli Stati Uniti sono l’unica superpotenza militare ed economica rimasta.
Un primato che si può far risalire alle origini degli Stati Uniti come nazione. Senza andare troppo indietro nel tempo, se 100 anni fa la moneta più utilizzata era la sterlina inglese, con la Seconda Guerra Mondiale e gli accordi di Bretton Woods nel 1944, il dollaro diventa la valuta principale e più utilizzata al mondo. Infatti, in questo contesto venne costituito il cosiddetto sistema aureo indiretto: il dollaro statunitense veniva ancorato all’oro con un rapporto di 35$ per un’oncia di oro.
Quindi, tutte le valute FIAT venivano scambiate in rapporto al valore del dollaro. La conseguenza fu che detenere la moneta USA equivaleva in un certo senso a possedere oro. Nel 1971, durante il governo Nixon, la convertibilità del dollaro in oro venne sospesa. Tuttavia, il primato non si perse, grazie agli accordi tra USA e Arabia Saudita, in base ai quali il prezzo del petrolio venne ancorato al dollaro, un sistema che sussiste ancora oggi.
La fine della guerra fredda nel 1990 e l’espansione dell’economia americana non hanno fatto altro che rafforzare il predominio internazionale della moneta verde. Ecco quali sono alcuni dei dati rilevanti al 2023 che lo dimostrano:
- il dollaro rappresenta tra il 60% e il 70% delle riserve monetarie mondiali;
- il 40% delle transazioni bancarie avviene in dollari;
- l’88% delle operazioni commerciali è in moneta USA;
- il prezzo del petrolio è calcolato in base al dollaro;
- la quotazione dell’oro è definita in moneta verde;
- le sanzioni internazionali emesse dall’ONU vengono computate in dollari.
Processo di dedollarizzazione: come sta avvenendo?

In questo contesto si collocano i tentativi di alcuni Paesi di sradicare il ruolo di primato del dollaro USA in ambito:
- finanziario: come valuta più scambiata al mondo sulle borse valori;
- commerciale: per l’utilizzo nei trattati commerciali;
- economico: come elemento che definisce valore di un prodotto o di un servizio.
Un processo iniziato più di dieci anni fa e che avviene attraverso diverse iniziative commerciali e politiche. In primo luogo, un ruolo determinante nella dedollarizzazione lo ha avuto la Cina. Oggi è tra i maggior importatori al mondo di petrolio, un dato che ha permesso di dar vita al cosiddetto sistema Petroyuan, finalizzato ad aumentare il valore dell’utilizzo del Renminbi cinese nei mercati internazionali.
Infatti, il primo passo è stato quello di creare, nel 2018, sulla Borsa di Shangai un future sul petrolio, garantito con una copertura in oro e scambiato in Yuan. A questo si aggiungono i recenti accordi con l’Arabia Saudita di calcolare il prezzo del petrolio in Yuan.
Anche la Russia negli anni ha proceduto a debellare la moneta USA dai suoi mercati. Un processo che si è velocizzato con la guerra in Ucraina e l’uscita obbligata dallo SWIFT, con il congelamento delle ultime riserve di dollari sui mercati russi.
A questo si aggiunge anche l’opera dei Paesi del blocco BRICS (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica), a cui si uniscono Venezuela, Malesia e anche l’Australia, che hanno iniziato a sottoscrivere nuovi trattati commerciali, utilizzando monete sostitutive al dollaro USA.
Quali sono le cause della dedollarizzazione
L’azione da parte dei Paesi Emergenti al processo di dedollarizzazione si colloca in uno scenario molto più ampio aggiungendosi a una serie di fattori.
Vediamo di riassumere quelli più importanti:
- distacco dall’oro;
- crisi bancarie statunitensi;
- Covid-19;
- inflazione alta;
- sviluppo delle economie emergenti;
- guerra in Ucraina;
- comparsa dell’euro.
Non c’è dubbio che il primo fattore che ha permesso l’inizio del percorso di dedollarizzazione è quello avvenuto nel 1971, quando si è avuto il distacco della convertibilità dell’oro in dollari. La moneta degli Stati Uniti è diventata una valuta FIAT come le altre, portando le banche a rivalutare le loro riserve.
A minare il suo predominio vi sono state anche le crisi bancarie che hanno avuto origine proprio in America. Nel 2007-2008, con il default dovuto ai mutui sub-prime e successivamente nel 2023 con il crollo di banche di investimento come la Silicon Valley Bank e di altre piccole realtà, la stabilità del dollaro è stata minacciata.
A rafforzare l’idea di un sistema alternativo al predominio del dollaro ha contribuito anche la pandemia da Covid-19 e il conseguente aumento dell’inflazione. Inoltre, le sanzioni verso la Russia hanno accelerato il processo di dedollarizzazione, portando sempre di più nazioni come Cina e India a creare un sistema alternativo di scambi.
Infine, non da ultimo, a insinuarsi sul predominio internazionale del dollaro vi è l’incremento dell’utilizzo dell’euro in ambito internazionale, che ha raggiunto quota 21% nel 2023.
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Quali sono gli effetti della dedollarizzazione sul mercato

Un processo di dedollarizzazione potrebbe portare a conseguenze:
- dirette sui mercati USA;
- indirette sulle economie dei Paesi europei;
- dal punto di vista geopolitico.
Gli effetti sull’economia statunitense potrebbero essere a lungo termine, dato che il minor utilizzo del dollaro porterebbe una riduzione delle importazioni, con un fatturato minore per le aziende, andando a gravare sui lavoratori americani, già colpiti da una forte inflazione.
Per le nazioni europee, tra le quali l’Italia, che prevedono numerosi scambi di import export con l’America, vi potrebbero essere gravi contraccolpi economici. Infatti, la minore domanda in dollari potrebbe incrementare il costo dei cambi e, come tale, quello delle importazioni. La conseguenza potrebbe essere una destabilizzare delle politiche economiche per contrastare l’aumento inflazionistico, con un nuovo incremento dei prezzi al consumo.
Inoltre, una dedollarizzazione potrebbe comportare anche conseguenze per la stabilità geopolitica. Gli Stati Uniti, come superpotenza democratica e militare, svolgono in un certo qual modo un ruolo di equilibrio in ambito internazionale.
Si pensi alla possibilità che hanno avuto gli USA di applicare sanzioni, come bandire la Russia dal sistema di pagamenti SWIFT, per l’invasione dell’Ucraina. Ridurre l’influenza del dollaro significherebbe minare anche questo aspetto.
Tuttavia, la dedollarizzazione potrebbe anche avere alcuni risvolti positivi. Per alcuni economisti questo processo, se effettuato in maniera graduale, organizzata e non come forma di strategie politica nel minare gli interessi economici e politici di una singola Nazione, potrebbe favorire le relazioni tra i Paesi, rafforzando l’idea del libero scambio e aprendo nuove opportunità in ambito commerciale.
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Sostituire il dollaro è possibile?

Per gli analisti di Morgan Stanley e di Goldman Sachs, il processo di dedollarizzazione non avrà vita facile, anche se per certi aspetti può essere inevitabile.
A favore di questa tesi, puoi valutare quattro principali motivi:
- il dollaro USA continua ad essere la moneta più utilizzata al mondo e la più stabile;
- è la principale valuta di riferimento a livello globale;
- il dollaro rimane tra le valute di riserva di valore detenute dalle banche;
- non esiste al momento una valida alternativa.
Il primo motivo riguarda l’impiego del dollaro come moneta per le transazioni commerciali. Basta considerare che il sistema SWIFT ha dichiarato, a maggio di quest’anno, che più del 40% delle transazioni internazionali commerciali avvengono in moneta USA, mentre il Renminbi (Yuan) cinese è solo al 2,4%.
Inoltre, il dollaro continua ad essere la principale unità di scambio per i partner commerciali. Per esempio, negli ultimi 10 anni, come riportato dalla Federal Reserve, il 96% delle fatturazioni commerciali in America è avvenuto in dollari e, nel resto del mondo, compresa l’Europa, sono arrivate al 79%.
A questo si aggiunge che la moneta USA rimane tra le principali riserve presenti nei caveaux delle banche. con un valore tra il 60% e il 70%.
Ad oggi non esistono valute che possono essere considerate le protagoniste del processo di dedollarizzazione. In particolare, l’euro, anche se è al secondo posto come moneta più utilizzata al mondo, continua ad essere impiegata a livello internazionale solo per il 21%, contro il 60% del dollaro. Un valore ancora più basso è quello del Renminbi cinese, che si attesa su un 7%.
Quindi, un eventuale processo futuro di dedollarizzazione potrà avvenire nei prossimi anni, ma lentamente e solo se si andranno a concretizzare possibili alternative concrete.
Dedollarizzazione – Domande frequenti
Il termine dedollarizzazione viene utilizzato per identificare quel processo attraverso cui si vuole sostituire il dollaro USA come valuta principale nelle transazioni commerciali, finanziarie e nei commerci bilaterali.
Il predominio del dollaro risale agli accordi di Bretton Woods con cui si stabilì l’equivalenza tra dollaro e oro. Scopri nella nostra guida quali sono stati i fattori che hanno determinato il primato della moneta USA.
Gli effetti di una riduzione di utilizzo del dollaro sono diversi, alcuni negativi altri positivi. Scopri quali potrebbero essere nella nostra guida sulla dedollarizzazione.