Quando emetti una fattura, come fornitore o prestatore di un servizio, sarai tenuto ad applicare l’IVA e versare la relativa aliquota tassativa entro il 15 del mese successivo. Tuttavia, vi sono alcuni casi in cui è prevista una deroga a questo meccanismo, come per esempio nel reverse charge.
Un sistema nato al fine di evitare l’evasione fiscale per le prestazioni di beni e servizi in ambito comunitario e per alcune tipologie di operazioni sul territorio italiano, risolvendo anche il problema della doppia tassazione.
Un meccanismo su cui spesso si generano diverse domande, su chi può utilizzarlo, quando può essere applicato e come comportarsi nel caso in cui hai scelto un regime agevolato, come quello forfettario. Nella seguente guida analizzeremo le caratteristiche del reverse charge, e quali sono i casi in cui si applica oppure no.
Cos’è il reverse charge
La definizione in italiano di reverse charge è quella di inversione contabile, un meccanismo in base al quale l’imposta sul valore aggiunto (IVA) non sarà a carico di chi emette la fattura ma di chi la riceve.
Conosciuto anche come tax shift (spostamento fiscale) è un’operazione, introdotta dal legislatore con il DPR 633/1972, il Testo Unico in materia di IVA, modificato successivamente con il Dlgs 158/2015, finalizzata a contrastare l’evasione collegata al pagamento dell’imposta indiretta.
Infatti, nasce per dare una disciplina comune in ambito UE per regolare dal punto di vista fiscale quelle prestazioni in cui si prevede il pagamento dell’IVA e quelle attività sul territorio italiano che sono esenti da tale versamento.
Il reverse charge si applica:
- ai soggetti che sono passivi di IVA, come professionisti, società di persone o di capitali;
- sulle prestazioni a titolo oneroso, come gli acquisti di prodotti o servizi.
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Come funziona l’inversione contabile
Perché esiste il reverse charge? Per rispondere a questa domanda è utile chiarire come funziona la disciplina IVA ordinaria in ambito italiano ed europeo per le cessioni di beni e di servizi.
La regola di base prevede che l’aliquota dell’imposta indiretta deve essere pagata dal fornitore, anche definito cedente, nel momento in cui viene emessa la fattura elettronica, per quelle prestazioni che sono rilevanti ai fini fiscali sul territorio italiano.
Quindi l’IVA è a suo carico in quanto soggetto che vende un bene o offre un servizio. Il cliente o acquirente non sarà tenuto al versamento dell’aliquota, ma a pagare l’importo comprensivo di IVA.
L’inversione contabile, invece, prevede uno spostamento dell’IVA dal fornitore all’acquirente richiedente. In base a questo principio si avrà che:
- il venditore emette fattura senza inserire al suo interno l’IVA;
- l’acquirente richiedente procede a integrare la fattura in modo da adempiere al versamento IVA nel Paese di riferimento.
In questo modo si evitano eventuali doppi pagamenti delle imposte da parte del fornitore e dell’acquirente, che dovrebbero prevedere una successiva detrazione fiscale, oltre a semplificare il calcolo e il versamento dell’IVA, per le prestazioni eseguite sul territorio italiano.
Lo spostamento contabile può essere di due tipi:
- reverse charge esterno;
- reverse charge interno.
La differenza riguarda la tipologia di soggetto che emette la fattura. Infatti, nell’inversione contabile esterna si fa riferimento a una cessione di beni o servizi in ambito comunitario.
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Reverse charge interno
L’inversione contabile interna si riferisce alle attività di vendita di beni o di servizi che avvengono tra due soggetti, con partita IVA, presenti sul territorio italiano.
Anche in questo caso il fornitore non emetterà fattura con l’imposta indiretta, ma si avrà lo spostamento verso il destinatario acquirente, il quale sarà tenuto a integrarla, indicando l’IVA da versare.
Tuttavia, il reverse charge interno si applica solo per specifiche tipologie di attività, definite dall’art 17 del Testo Unico in materia di IVA (633/1972). Precisiamo che, in quanto deroga al principio dell’IVA, questo meccanismo è stato autorizzato dalla Unione Europea con una scadenza. In base al Decreto Semplificazioni, del 21 giugno 2022, l’applicazione del reverse charge interno avverrà fino al 31 dicembre 2026.
Ecco quali sono le prestazioni su cui si applica:
- attività del settore edile;
- cessioni di fabbricati, terreni agricoli non edificabili;
- computer, console di gioco, videogiochi e pezzi di ricambio;
- oro e beni collegati all’estrazione mineraria;
- servizi di pulizia;
- istallazione impianti o completamento degli edifici;
- vendita di gas ed energia a un rivenditore nel territorio italiano;
- vendita dei pallet.
In tutti questi casi, il fornitore emetterà una fattura elettronica senza applicare l’IVA, che sarà a carico del destinatario.
Reverse charge: esempio
Andiamo a vedere un caso pratico al fine di chiarire come funzioni il reverse charge. Immagina l’acquisto di materiale elettronico per un valore di 1.000€, a cui dovrai aggiungere il 22% di IVA.
Secondo i principi di emissione della fattura elettronica ordinaria l’importo da pagare sarebbe 1.000€ + IVA al 22% = 1.220€.
Quindi, al momento dell’acquisto devi versare al fornitore il valore di 1.220€. Ricevuto il pagamento, il cedente dovrà inserire l’IVA nell’apposito registro e versare la relativa quota entro il 15 del mese successivo.
Nel caso del reverse charge, in fattura deve essere inserito solo l’importo senza IVA, come segue:
- 1.000€ con indicazione che la fattura è soggetta reverse charge.
In pratica, al fornitore devi versare la somma di 1.000€. A questo punto, devi essere tu ad adempiere all’aliquota fiscale, pagando l’IVA del 22%, ovvero 220€, all’Agenzia delle Entrate. Vediamo come.
Reverse charge e scritture contabili
Una volta compreso come funziona il reverse charge, può essere utile chiarire l’aspetto contabile, ovvero come incide il meccanismo di inversione fiscale dal punto di vista del calcolo dell’IVA e dell’imponibile.
In qualità di venditore, dovrai comportarti come in qualunque operazione esente da IVA. Quindi, emettendo fattura, dovrai contabilizzare solo l’importo a credito che devi ricevere dal cliente, per la prestazione o il bene venduto. In questo caso, non dovrai inserire l’imposta indiretta nel Registro IVA ed effettuare il relativo versamento entro il 15 del mese successivo.
Ben diversa è la situazione contabile da parte dell’acquirente. In questa ipotesi, sarà necessario registrare la posizione a debito per l’operazione di acquisto, a cui si dovrà aggiungere l’importo dell’IVA, sia a debito sia a credito.
Reverse charge e fatturazione elettronica
Passiamo all’aspetto pratico. Nel momento in cui, come soggetto destinatario cliente, devi applicare l’inversione contabile avrai due opzioni:
- autofattura;
- reverse charge e nota di credito.
Il primo caso si verifica se il fornitore non ha emesso la fattura entro i termini previsti per legge, pari a 4 mesi dalla data della prestazione effettuata. In questa situazione, dovrai emettere autofattura elettronica. La sua caratteristica è quella di essere un documento contabile, con oggetto l’acquisto di un bene o un servizio, ma in cui il mittente e il destinatario corrispondono.
In questo modo potrai segnalare all’Agenzia delle Entrate il versamento IVA e aggiungerlo nel calcolo dell’imponibile per la dichiarazione dei redditi. Per creare un’autofattura nel sistema SDI, dovrai inserire il codice TD16.
Per quanto riguarda la nota di credito, nel reverse charge deve essere emessa nel momento in cui ricevi una fattura elettronica con la dicitura soggetta a inversione contabile. Avrai fino a un massimo 15 giorni per adempiere alla comunicazione IVA. Infatti, questo documento contabile è un sistema attraverso cui puoi correggere un errore in fattura o annullarla, oppure utilizzarlo per integrarne una già esistente, come nel caso dello spostamento IVA.
L’invio avverrà sempre attraverso il sistema SDI dell’Agenzia delle Entrate, andando a indicare nel software di fatturazione elettronica il codice TD4 (integrazione fattura per reverse charge).
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Reverse charge in edilizia
Tra le prestazioni previste in cui si applica il reverse charge interno rientrano una serie di attività collegate all’edilizia.
In particolare, l’inversione contabile è prevista per:
- subappalti edili;
- servizi di pulizia;
- demolizione;
- manutenzione di abitazioni ed edifici;
- ristrutturazione di immobili.
Per prevedere l’applicazione dell’inversione contabile sarà necessario che l’attività edile sia svolta con la presenza di un contratto di appalto. Inoltre, la prestazione deve prevedere lavori che richiedono l’utilizzo di manodopera.
Invece, non è ammesso il meccanismo di spostamento dell’IVA per ciò che concerne le attività di preparazione del cantiere, perforazioni, trivellazioni e realizzazione di strutture di copertura. Infine, non potrai utilizzarla in caso di noleggio di attrezzature e macchinari.
Quando non si applica l’inversione contabile
Il reverse charge non si applica ai:
- soggetti privati;
- partite IVA con regime forfettario;
- regime dei minimi.
Soffermiamoci su questi ultimi due casi. Entrambi sono regimi agevolati accomunati dal fatto di prevedere una semplificazione contabile e la compilazione di una fattura con esenzione da IVA. Quindi, se rientri in uno di questi due sistemi fiscali, quando emetti il documento contabile, non dovrai inserire l’imposta indiretta e, come tale, non potrai applicare l’inversione contabile.
La situazione è diversa in quanto destinatario/acquirente. In questo caso, sarai comunque tenuto a emettere autofattura oppure una nota di credito al fine di regolarizzare l’IVA. Tuttavia, rispetto ad altre tipologie di regimi fiscali, in quello forfettario non potrai dedurre i costi dell’IVA al momento della dichiarazione dei redditi, data l’applicazione di un’unica percentuale forfettaria (la cosiddetta imposta sostitutiva), pari al 5% per i primi 5 anni e al 15% successivamente, come aliquota tassativa.
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Mancata inversione contabile e sanzioni
La mancata comunicazione all’Agenzia delle Entrate di un’attività soggetta a reverse charge comporta una serie di sanzioni.
Con il Dlgs 158/2015 sono state inasprite le ammende previste dal Testo unico in materia di IVA. In particolare, si distingue tra:
- omissione o errata applicazione dell’inversione contabile;
- errore nell’IVA dichiarata.
Nel primo caso, le sanzioni sono più elevate, dato che non è stato effettuato un versamento dell’imposta sul valore aggiunto e, come tale, si applicherà una pena pecuniaria da un minimo di 500€ a un massimo di 20.000€.
L’ammenda sarà più levata nell’ipotesi di tentativo di nascondere l’omissione del reverse charge, per esempio non inserendolo nelle scritture contabili. In questo caso, la sanzione sarà incrementata dal 5% fino al 10%.
Diversa è la situazione in cui si è effettuata comunque una dichiarazione ai fini d’IVA, ma questa contiene un importo sbagliato o un errore nell’applicare il meccanismo di reverse charge a operazioni non soggette. In questa casistica, il legislatore ha voluto ridurre le eventuali sanzioni, prevedendo un’ammenda con un minimo di 250€ e un massimo di 10.000€.
Infine, in caso di mancato reverse charge, avrai la possibilità di ridurre ulteriormente la sanzione fino a 1/9 del suo valore attraverso il sistema del ravvedimento operoso, versando quanto dovuto all’erario senza contestare l’eventuale sanzione attraverso un procedimento di opposizione.
Reverse charge: domande frequenti
Il termine reverse charge può essere tradotto come inversione contabile o spostamento fiscale e prevede il versamento dell’IVA a carico non di chi vende un prodotto o servizio, ma di chi lo acquista.
Il reverse charge si applica alle operazioni a titolo oneroso in Europa e per alcune categorie di prestazioni o vendita di beni in Italia.
L’IVA nel reverse charge è pagata dal destinatario acquirente e non dal fornitore, attraverso l’emissione di una nota di credito o di autofattura.